Musical | Perché in America lo fanno meglio?

L’America balla e canta, non ci sono dubbi. Loro lo fanno meglio.
Quante volte uscendo da teatro dopo aver visto una produzione italiana di Musical ci siamo sentiti di ribadire il concetto: per quanto possano essere immensi gli sforzi per dare vita ad un Musical in Italia, il risultato non regge il confronto con quello che avviene oltreoceano. Se poi si parlasse di film, il paragone non oseremmo nemmeno farlo.
La qualità sicuramente dipende da un fattore imprescindibile: il denaro. Gli imprenditori dello spettacolo in America (e nel Regno Unito) esistono. Qui no. 
Certo, è vero, ma non basta! La cultura del Musical è radicata nel tessuto sociale americano già dalla seconda metà del 1800. Una forma variegata di spettacolo che rispecchia la varietà multietnica della società.
Facendo alcuni salti temporali, vi racconto qualcosa che ho scoperto da poco, che ci spiega perché “loro” lo fanno meglio.


Spongebob - 2017

Primi anni del Novecento e un nuovo continente che desidera dissociarsi dal “Vecchio Mondo”, arroccato nelle antiche convinzioni e poco propenso alle “avventure”. Un’Europa stanca e rinunciataria, sempre alla ricerca di realtà.
Al di là dell’Atlantico danzare non è solo una manifestazione artistica, né una forma di attrazione pura e semplice ma una vera e propria ​way of life​. La memoria collettiva americana si costruisce su un’incessante operazione metaforica: l’America si “maschera” e sceglie di mostrare al mondo ciò che il mondo da lei si aspetta. Emblema di libertà, un luogo senza passato preso dal bisogno di <<esistere fantasticamente>> (cit. C. Pavese) che deve necessariamente costruire un’immagine di sé credibile e meravigliosa.
In questo panorama dove tutto sembra meglio di ciò che è, in un sistema di pensiero dove l’iperbole primeggia rispetto al senso di realtà, la danza diventa una delle metafore preferite della cultura americana.
La danza non entra solo a far parte del costume, delle usanze, del folklore, delle consuetudini 
(come succede in ogni parte del mondo) ma se ne fa una manifestazione, interprete di vita. Nel regno dell’esteriorità l’America che balla e canta è destinata ad essere “America” più di quella vera, a palesare i propri drammi, i propri conflitti, la propria ideologia.
L’America del secondo dopoguerra è una civiltà pratica, fatta di “azioni”, non ci si può stupire quindi se l’azione di danzare entra a far parte della coscienza collettiva e comincia a percepirsi in ogni espressione culturale. 
Danzare è vivere pienamente, piena espressione dei sentimenti.
Le origini della danza popolare negli Stati Uniti sono riconducibili all’incontro culturale delle diverse tradizioni, in particolare maniera l’incontro con il folklore africano, che con non poche difficoltà di integrazione si tramuterà in quello che oggi identifichiamo con la “cultura afroamericana”.
In questo terreno sprofondano le radici del Musical dove il “varietà” e l'entertainment si sviluppano come forma di espressione principale del “sogno americano”.
Loie Fuller nel 1891 con “A trip to Chinatown” fu la prima ballerina a sperimentare a Broadway una più matura e inedita dimensione del balletto all’interno del teatro leggero americano.



La sfida viene superata di produzione in produzione, si trattava di inventare uno stile in cui musica, parola e danza si potessero fondere in un equilibrio superiore, che avrebbe composto la linfa vitale della commedia musicale americana e dove la coreografia fosse un sistema di riscrittura dello spartito sonoro.
La scienza coreografica si evolve interrogandosi sulla relazione show/danza dando vita a nuovi sistemi di pensiero sullo spazio.
·      Lo spazio scenico
Una nuova relazione con lo spazio (prima scenico e poi cinematografico) che tiene conto dei gruppi di ballerini. Luci, effetti ottici e specchi sono usati al fine di modificare la profondità di campo per renderla inafferrabile, irreale, fantastica. La tridimensionalità esalta e, nello stesso tempo, trasforma lo spazio, aprendo la strada a quelle che saranno le basi del balletto sullo schermo.
·      La figura inserita nello spazio
I gruppi di danzatori tendono ad assumere, all’interno della scena, un valore dinamico. Il corpo di ballo è incaricato di far vivere lo spazio. Essi devono suggerire: <<non siamo a teatro, ma dentro un sogno dove ogni uomo è ogni donna è una stella.>> (Aleister Crowleys)
·      La frantumazione dello spazio
Le prospettive strabilianti dell’impianto scenico su più “piani” richiedono grande ingegno del punto di vista architettonico: passerelle, zone luminose, scene girevoli, e soprattutto scale e scalinate sono protagoniste delle più famose commedie musicali. La coreografia deve essere frammentata e pensata per essere eseguita dai ballerini con valenze geometriche in diversi spazi.

Hello Dolly - 1969

Inevitabile dedurre che queste conoscenze svilupperanno un vero e proprio sistema di pensiero grazie al quale un certo stile di spettacolo viene creato, progettato, pensato e realizzato secondo canoni di grandiosità e bellezza.

Tra le condizioni significative troviamo anche l’atmosfera degli anni Trenta.
Dopo la crisi del ‘29 l’America ha bisogno di rassicurazioni: sogni, illusioni, speranze si fanno largo rispolverando i miti della potenza, della vitalità e dell’ottimismo. Il “New Deal” di Roosvelt ha bisogno di intrattenimento.

George Balanchine, coreografo e danzatore russo, tra i più grandi del ventesimo secolo, nel 1952 disse meglio di altri ne “Il balletto nel cinema” (art. contenuto in “Bianco e Nero”)
<<Per il cinema il balletto costituisce l’elemento puramente fantastico. Il film medio raramente ha a che fare con la libera fantasia ma al contrario è legato strettamente alla vita reale. É soprattutto a causa della sua qualità puramente immaginativa - direi quasi artificiale - che il balletto è importante per il cinema. Con esso si introduce un mondo di assoluta immaginazione la cui forma è di natura plastica - la perfetta visione di una vita fantastica. Questo per me è il regno della fantasia assoluta. Ha le sue leggi, il suo significato e non può essere spiegato secondo i comuni criteri della logica.>>


Gli americani lo fanno meglio e gli inglesi sono in grado di farlo molto bene, probabilmente per la capacità pratica di saper sempre guardare all’obiettivo: distaccarsi dal reale e vivere nel l’illusione ottica del sogno, dove tutto è possibile.
L’entusiasmo che provoca il Musical e il clima di cui è portatore è il segreto del suo successo, un grande “ballo in maschera” che si fermerà solo nella notte fonda della Storia, quando ogni finzione sarà stata, ormai, resa vana.


Vi lascio qui una lista di imperdibili, secondo il web, nella storia del musical:


Porgy and Bess – 1935. Due le versioni cinematografiche, nel 1959 e nel 1993.

Singin’in the rain – 1952 Diretto da Stanley Donen e Gene Kelly e interpretato da Kelly, Debbie Reynolds e Donald O'Connor

West Side Story – 1957 con musiche di Leonard Bernstein (film uscito nel 1961)

Cabaret – 1966 in teatro. Nel 1972 Liza Minnelli vince l’Oscar per la versione cinematografica

Hair – 1967 James Rado e Gerome Rado musiche Galt MacDermot

Jesus Christ Superstar – debutta nel ’71 di Andrew Lloyd Webber con libretto di Tim Rice

The Rocky Horror Picture Show – in teatro debutta nel 1973 e al cinema nel ’75 regia e scrittura Richard O’Brien

Grease – versione cinematografica 1978

Cats – 1981 scritto da Andrew Lloyd Webber

Footloose – film 1984 con un fantastico Kavin Bacon

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