Ho il diritto di non applaudire | Appunti di una spettatrice

Basta poco per sentirsi offesi, ricattati da alcuni registi che in nome della loro fama e del loro nome scelgono di mettere in scena insulse opere appiccicando etichette di "tendenza" quali: teatro di ricerca. Teatrodanza.
Premetto che questa non vuole essere una critica di un'esperta, ma una riflessione libera di una libera spettatrice, che rispetta immensamente ogni espressione artistica, purché sia sostenuta da "qualcosa", abbia fondamenta reali, fatte di fatica e pensiero.
Mi trovo reduce da una delle esperienze più faticose della mia vita di spettatrice. Un teatro pieno quello che attende la rappresentazione di Enrico V di Pippo Delbono, nella "sua" Genova.
Uno Shakespeare scarnificato: interessante. Forse.
La sua inconfondibile voce è caratterizzata da due tipologie espressive, urlo/mi confido a voce bassa. Vengo sottoposta alla creazioni di immagini forzate, anzi peggio, forzatamente copiate da spettacoli già visti triti-ritriti, una povera Bausch violentata nelle sue forme espressive più intime.
Stesse formazioni, stessi gesti, stesse atmosfere. Un copia-incolla che di ricerca ha poco.
Definito nei migliori siti di teatro europei un genio del teatro sperimentale, Pippo Delbono sceglie di rappresentare se stesso, come spesso succede a chi si è troppo abituato a stare sulla scena.
Un continuo non-giustificato uso dei corpi: sono presenti un gran numero di corpi-possibilità sulla scena, che non vengono usati. Sono una cornice che si monta e si smonta a servizio di tre attori stanchi, senza energia e soluzione.
La ricerca musicale, unico punto a favore. Ma anche qui si tratta di una ricerca ad effetto. Troppo facile vincere utilizzando le atmosfere Bauschane di Koktakthof, la musica francese anni '30. Troppo facile usare gli alti volumi e usare un sordo "Urlo" di Munch. A questo punto, preferisco una scelta radicale di svuotamento. Preferisco pagare il biglietto per un palco deserto e ascoltare buona musica. Mi sentirei meno offesa.
Rubando una frase alla persona più importante della mia formazione artistica, definirei ciò che ho visto/subìto "l'avanguardia della retroguardia".
Quindi nasce in me e in altri spettatori con cui condivido esperienze teatrali, riflessioni intellettuali e di ricerca, la domanda del perchè il pubblico e la critica sostengano determinate realtà. Non si tratta di una ricerca estetica, non pretendo di vedere qualcosa di bello, non mi interessa: voglio ricevere, voglio stare male, voglio esser posta davanti a qualcosa che non sono in grado di affrontare. 

"Il teatro di Pippo Delbono si basa su un rigoroso lavoro sul corpo e sulla voce. Gli spettacoli realizzati con la sua compagnia sono stati presentati in più di 50 paesi del mondo. Enrico V - la sua unica creazione basata su un testo teatrale - è il solo allestimento italiano tratto da Shakespeare andato in scena alla Royal Shakespeare Company."

Da queste righe rubate ad uno dei tanti articoli trovati in rete, posso dedurre di aver assistito ad uno spettacolo importante, che ha ritagliato un suo spazio su palchiscenici e realtà molto ambite.
Quindi? sono io a non aver strumenti a sufficienza per saper trovare la qualità in quest'opera? 
Il problema delle etichette è il motore che smuove le mie riflessioni. Tutto diventa teatro, tutto diventa danza. Non è il fatto di decidere di muoversi a legittimare l'uso del movimento.
L'uso del corpo, deve essere dettato dalla necessità espressiva. 
Credo che non tutti possano permettersi di ispirarsi alla pioniera del teatrodanza, poichè essa porta con sè una dimensione poetica capace di tradire il corpo e il movimento a servizio dell'espressione, rendendola unica ed irripetibile. Non è zompettare su un palco una necessità, è una scelta. E si vede. Si sente.
Cari registi, coreografi, manager dello spettacolo, non crediate che il pubblico sia un grande contenitore in cui riversare i vostri deliri di onnipotenza. Non crediate che tutto sia concesso, solo perchè siete stati baciati dalla fortuna, o meglio dalla critica.
Finchè vi accontenterete di essere applauditi per il vostro nome e non per la vostra opera, non ci sarà mai innovazione. Ho più paura di chi giudica, chi premia, chi ha il potere di rendervi famosi, che di voi.

Frammento di training durante le prove di Enrico V



Commenti

  1. Parole sante: mai accontentarsi. I grandi artisti sono fatti di tale pasta e non sono mai contenti. Poi viene la critica, ahimè, che di impegnato ha poco o nulla: molto più facile esaltare o denigrare a seconda della politica (o dell'amico) del momento.

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  2. a me è bastato lo spettacolo dello scorso anno di Pippo Delbuono. Un uso esagerato di corpi nudi in scena senza motivo, una storia strampalata che non aveva ne capo ne coda.
    NON HO APPLAUDITO e non me ne vergogno. Forse alcuni registi, alcuni spettacoli, sono un pò sopravvalutati....

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